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La storia di Lucy Salani raccontata al cinema. Scopriamo chi è la donna transessuale più anziana d’Italia, sopravvissuta al campo di concentramento di Dachau.

La storia di Lucy Salani ha dell’incredibile, degna di un film. Ha infatti ispirato una pellicola che uscirà al cinema lunedì 10 gennaio 2022, dal titolo C’è un soffio di vita soltanto. Un racconto emozionante che porta la firma di Matteo Botrugno e Daniele Coluccini. Al centro vi è la storia di Lucy Salani, la donna transessuale più anziana d’Italiana. Nata a Fossano nel 1924 da una famiglia antifascista di origine emiliana, è sopravvissuta al campo di concentramento di Dachau.

Un racconto che sa proporre analisi di tematiche attuali, dall’identità di genere all’importanza di continuare a mantenere intatta la propria personalità: “Chi ha detto che una donna non può chiamarsi Luciano?”. Un racconto dalla rilevanza enorme, considerando come le voci come la sua vanno spegnendosi anno dopo anno.

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Lucy Salani da giovane

Nei mesi scorsi le tappe principali della sua vita sono state tracciate dall’Arcigay Pegaso Catania. Dalla giovinezza al militare, dal campo di concentramento all’intervento chirurgico. È stata una delle prime italiane a sottoporsi al trattamento di riassegnazione sessuale, a Londra nel 1982.

Lucy Salani

Trailer C’è un soffio di vita soltanto

“Fin da piccola mi sono sempre sentita femmina. Mia madre era disperata. Volevo fare ciò che facevano le bambine, dalla cucina alle bambole. Mio padre e i miei fratelli non mi accettarono. Negli anni ’30 i miei genitori si trasferirono nel bolognese. Non mi aspettavo la guerra. Sono stata chiamata. Mi arrivò la cartolina a 19 anni, spedendomi al nord. Ho iniziato così a fare il militare”.

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Lucy Salani: campo di concentramento

“Sono rimasta in quel campo di concentramento per sei mesi. Il giorno in cui i tedeschi capirono che era giunta la fine ci ammucchiarono al centro, iniziando a sparare. Io venni ferita a una gamba e svenni. Mi trovarono gli americani tra i cadaveri. Sono così tornata a casa. Quando mia madre mi vide, svenne. Credeva fossi morto, fucilato. Non so come ho fatto a sopravvivere. Al mio ritorno nessuno voleva sapere. Nessuno chiese cosa mi fosse accaduto a Dachau. Siamos tati dimenticati e alla gente non fregava nulla. Non volevano sapere. Sono già tornata tre volte a Dachau dopo la liberazione e tutte le volte provo una sensazione che non riesco a descrivere. Ho un blocco e mi continuano a scendere le lacrime. È impossibile dimenticare e perdonare. Ancora alcune notti mi sogno le cose più orrende che ho visto e mi sembra di essere ancora lì dentro e per questo voglio che la gente sappia cosa succedeva nei campi di concentramento perché non accada più”.

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