La fiera delle illusioni – Nightmare Alley è il nuovo film di Guillermo del Toro, prolifico regista premio Oscar che ha confezionato una nuova perla cinematografica. Consigliato caldamente da Martin Scorsese, tra gli altri, negli USA è stato un flop (non che in Italia sia andata meglio). Un destino ingiusto, considerando al qualità dell’opera e del suo creatore. È però in corsa per quattro Academy Awards e potrebbe dire la sua principalmente in uno di questi, quello per la scenografia.
Quattro anni dopo La forma dell’acqua, Guillermo del Toro torna al cinema con La fiera delle illusioni – Nightmare Alley, adattamento dell’omonimo romanzo di William Lindsay Gresham del 1946, già portato sul grande schermo un anno dopo. Quattro nomination agli Oscar 2022, con il responso degli Academy Awards che potrebbero avere il merito di rilanciarne le sorti in sala.
La fiera delle illusioni – Nightmare Alley, trama e cast
La trama è ambientata negli Stati Uniti negli anni ’40. Il protagonista è Stanton Carlisle, che si è lasciato la propria vita alle spalle in un incendio e si è ritrovato in un Luna Park, lavorando come giostraio. Sa d’avere qualcosa di speciale ma soprattutto a caratterizzarlo è una certa spietatezza. Il tutto è ben celato dal suo fascino.
Riesce a mettere le mani su un numero di grande appeal da portare in giro, grazie al quale finge d’avere capacità da mentalista. Scappa dal Luna Parka con Molly, giovane senza troppe pretese che perde la testa per lui e dopo un certo successo Stanton inizia a lasciar emergere il proprio animo.
Molly lo riconosce sempre meno, fino all’incontro con la psichiatra Lilith Ritter. Lei lo ammalia e coinvolge in un paio di truffe ai danni di uomini molto importanti della città. Il suo destino è però già segnato e la tragedia è incombente.
Ecco il cast di La fiera delle illusioni – Nightmare Alley:
- Bradley Cooper: Stanton “Stan” Carlisle
- Cate Blanchett: Lilith Ritter
- Toni Collette: Zeena Krumbein
- Willem Dafoe: Clem Hoately
- Richard Jenkins: Ezra Grindle
- Rooney Mara: Molly
- Ron Perlman: Bruno
- David Strathairn: Pete Krumbein
La fiera delle illusioni – Nightmare Alley, differenze dal libro
Come detto, La fiera delle illusioni – Nightmare Alley di Guillermo del Toro è tratto da un omonimo romanzo del 1945. Il celebre regista ha scelto di adattare in maniera fedele la trama o ha operato dei cambiamenti radicali per renderlo più aderente alla propria visione cinematografica? Inutile dire Spoiler Alert.
Il concetto della paura gioca un ruolo chiave nel romanzo. Se ne parla spesso, e non soltanto in relazione al “geek” che viene tenuto in gabbia. Stan è tormentato da un sogno, da quel nightmare alley spaventoso che lo vede impossibilitato a raggiungere la luce, che continua a spostarsi, mentre la paura, questa presenza minacciosa alle sue spalle, si avvicina sempre più. Conosci le paure di qualcuno e potrai controllarlo. É questo il più grande potere che Stan si ritrova tra le mani nel corso di questa storia. Nel film si cita una sola volta il nightmare alley, con riferimento a quei luoghi in cui trovare persone ormai sul baratro, terrorizzate all’idea di tornare sobrie e fronteggiare le proprie paure. È lì che si trovano coloro da poter trasformare in “geek”. La paura è un tema che ritorna nel film ma non in maniera esplicita.
Differente anche la gestione del tema dell’alcool. Il film calca molto la mano sul fatto che Stan non beva mai. È un vanto per lui, uno dei motivi per i quali si sente migliore degli altri. È in realtà una paura, quella di trasformarsi come suo padre. Il suo alcolismo si palesa in maniera più naturale nel romanzo, mentre Guillermo del Toro dà un peso specifico al quel primo bicchiere che afferra nello studio di Lilith Ritter. Ha però un senso quella scena, dal momento che pare quasi lei lo stia avvelenando, servendogli quel drink. Non è veleno nel senso letterale del termine ma di certo evidenzia come i suoi artigli siano giunti più in profondità dentro di lui, ormai impossibili da estirpare.
Il personaggio di Stan viene presentato in maniera differente. Il film tende a creare una netta distinzione tra la prima parte e la seconda. Nel primo blocco dà l’impressione d’essere quasi un buono, dal passato oscuro ma dall’animo gentile. Pare essere realmente interessato a Molly e aver ucciso Pete per errore, scambiando la bottiglia. Nel libro invece è chiaramente un personaggio viscido e pericoloso fin dall’inizio. Affascinante, certo, ma non quel buono che il film prova a venderci.
Cosa accade tra Stan e suo padre sono cose ben differenti nel libro e nel film. Bradley Cooper gli dice chiaramente di odiarlo, ritenendole debole e crudele. Lo lascia al gelo, indebolendolo fino a ucciderlo, per poi dar fuoco al suo cadavere e alla casa che lo ha rinchiuso per tanti anni. Nel libro l’odio è evidente e raccontato in svariati episodi. Stan però lascia la casa e vi torna molto dopo, trovando il genitore nuovamente sposato. Decide allora di mettere in atto il proprio numero su di lui, parlando della presenza di un animale. Uno spirito nefasto, con riferimento al suo cane, morto quando era un ragazzo, che sospetta sia stato picchiato a morte dal padre. Uno spettro che potrebbe tormentarlo fino alla sua morte. È così che i due si lasciano per sempre.
Sono tante le differenze, minime o molto rilevanti, che fanno del libro e del film due esperienze in buona parte differenti. È possibile godere di entrambe ed è di sicuro ciò che Guillermo del Toro si augura. L’ultima che intendo riportare ha però una palese importanza. Si parla del crollo finale della figura di Stan. Il regista preferisce non infierire enormemente. Lilith lo umilia, evidenziando quando comune sia il suo intelletto. Lui si ritiene un genio e invece ha probabilmente un disturbo, oltre a svariati complessi. Ciò è chiaro nel romanzo ed è soltanto accennato nel film, che rapidamente mostra la sua caduta.
Il testo si prende invece il suo tempo, raccontando numerosi episodi e offrendogli un nuovo incontro con Zeena, che pare la luce in fondo a quel vicolo oscuro. Si ritrova effettivamente in un circo sconosciuto che rifiuta il suo numero da mentalista, offrendogli un lavoro temporaneo da “geek”. Il film affida a Bradley Cooper la conclusione drammatica, ai suoi sguardi, all’orgoglio perduto nel suo sguardo laconico e a quella risata che sa di pianto mascherato. Il romanzo invece va oltre e non offre speranze di un possibile ritorno in auge. Dietro la maschera dell’intrattenitore non vi era altro che un uomo più che comune, ritenutosi grande e crollato al suolo da una notevole altura. Non è morto nello schianto ma il suo destino in gabbia, ben descritto, è forse una condanna peggiore.
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