Avrete di certo sentito parlare del Nabucco di Giuseppe Verdi, ma ne conoscete la storia e il significato?
In molti ignorano che “Va pensiero” sia soltanto una minima parte del Nabucco di Giuseppe Verdi, che ha saputo esaltare il popolo di un’Italia non ancora unita (o almeno parte di esso). Ma partiamo dalle origini, ovvero da quando era noto come Nabuccodonosor.
Nabucco testo e significato
La storia del popolo ebraico in schiavitù in terra babilonese viene proposta in maniera eccelsa nel Nabuccodonosor, poi divenuto Nabucco. All’interno di questa ampia vicenda storica, profondamente drammatica, trovano spazio due storie d’amore e gelosia, tra le figlie del re Fenena ed Abigaile con l’ebreo Ismaele.
Il libretto del Nabucco venne scritto da Temistocle Solera, che l’aveva tratto dall’omonimo dramma di Anicet-Bourgeois e Drancis Cornue, in scena a Parigi nel 1836, così come dal balletto omonimo che Antonio Cortesi ne aveva ricavato per la Scala di Milano.
Giuseppe Verdi rifiutò inizialmente la messa in musica dell’opera, sul punto di abbandonare la musica. Era nella fase più drammatica della sua vita. Alla fine venne messo in scena la prima volta il 9 marzo 1842 e fu il primo grande successo del compositore. È ancora oggi una delle opere più rappresentate.
La sezione che tutti conoscono come Va pensiero è il coro degli ebrei nella parte III. Nabucco, colpito e accecato dal fulmine, è inebetito e mentalmente instabile. Abigaille ne approfitta per fargli convalidare, con sigillo reale, la messa a morte degli ebrei. In un momento di lucidità, però, Nabucco si rende conto d’aver condannato anche la figlia Fenena e chiede per lei salva la vita, inutilmente. Abigaille distrugge il documento che prova la sua identità di schiava, dichiarandosi unica figlia ed erede del sovrano, che fa arrestare. Sulle sponde dell’Eufrate gli ebrei invocano con un coro la patria lontana. Ancora una volta Zaccaria esorta i suoi ad avere fede nel loro dio, con una profezia di speranza.
Va’, pensiero, sull’ale dorate;
Va’, ti posa sui clivi, sui colli,
Ove olezzano tepide e molli
L’aure dolci del suolo natal!
Del Giordano le rive saluta,
Di Sïonne le torri atterrate…
Oh, mia patria sì bella e perduta!
Oh, membranza sì cara e fatal!
Arpa d’or dei fatidici vati,
Perché muta dal salice pendi?
Le memorie nel petto raccendi,
Ci favella del tempo che fu!
O simile di Solima ai fati
Traggi un suono di crudo lamento,
O t’ispiri il Signore un concento
Che ne infonda al patire virtù!