Chi è Pegah Moshir Pour, 21 anni, attivista a Sanremo 2023 con Drusilla Foer: il discorso sul palco dell’Ariston
Nella seconda serata di Sanremo 2023 l’attivista Pegah Moshir Pour con Drusilla Foer sul palco dell’Ariston. Il nome di certo tradisce le sue origini straniere, precisamente iraniane, ma lei è italiana, lucana, impegnata da mesi in prima fila nella diffusione di contenuti in merito a quanto stia accadendo in Iran, con violente repressioni da parte del regime islamico. La morte di Mahsa Amini, uccisa dalla polizia morale, ha generato una sollevazione giusta e necessaria, che Sanremo 2023 condivide e aiuta a esplicare attraverso le parole di Pegah Moshir Pour, 21 anni, che nei suoi tanti video e post online denuncia le violenze che i manifestanti subiscono ogni giorno da parte del regime, con arresti ingiusti e condanne a morte. Schierata per offrire tutele agli studenti perseguitati, la cui colpa è quella di voler parlare e raccontare la verità. In nome loro chiede al governo maggiori tutele per chi di loro è in Italia, al fine di supportarli economicamente e con le richieste e gli ottenimenti dei necessari visti e permessi di soggiorno. Ne va della loro vita, a volte.
Pegah Moshir Pour è in Italia da quando aveva 9 anni, nata nel 2001 in Iran. È stata costretta a dire addio alla sua terra a causa delle numerose proteste che avevano messo in grave pericolo la vita di tantissime persone a Teheran, rendendo il clima insostenibile. Oggi sfrutta i suoi canali social per far sentire la voce di chi urla in strada per i propri diritti, ma spesso non riesce a superare con l’eco i confini della propria città o nazione. Certe verità, però, devono essere gridate al mondo intero. Spesso impegnata in incontri nelle scuole e non solo, parlando di tematiche come l’etica digitale, i diritti umani e l’empowerment femminile, offrendo spunti di riflessione e dibattito alle nuove generazioni. È inoltre consulente e attivista per differenti ong, italiane e internazionali. Il discorso di Pegah Moshir Pour a Sanremo 2023 ha inizio spiegando come in Iran non le sarebbe stato possibile essere così vestita e truccata. Non le sarebbe stata data la chance di parlare di diritti umani in pubblico: “Sarei stata arrestata o uccisa”. Per questo motivo ha scelto di accantonare la paura, dando voce a una generazione che subisce le angherie di un regime, che distrugge uno dei Paesi più belli al mondo. Ha parlato del sacrificio di sangue che il popolo iraniano sta pagando per essere libero. Ha poi intonato una canzone divenuta l’inno della rivoluzione, nata da Shervin Hajipour, che ha musicato molti tweet di giovanissimi che hanno raccontato tutte le libertà negate quotidianamente. Un gesto che ha pagato con l’arresto. Il titolo della canzone è Baraye, che si può tradurre in italiano con “per”. Giunta Drusilla Foer sul palco, le due hanno svelato tutte le privazioni della libertà personale imposte dal regime in Iran, con le conseguenti pene. Si rischiano 10 anni di carcere per ballare in strada o cantare canzoni occidentali, ed è proibito baciarsi o tenersi per mano con la persona amata. Per esprimere la propria femminilità la pena è la vita. In Iran più di 20 milioni sono sotto la soglia di povertà e moltissimi sono i bambini sfruttati che chiedono l’elemosina, e il regime uccide i cani di strada e di proprietà. Più di 18mila intellettuali, dissidenti e prigionieri politici in prigione o spariti nel nulla. Un dipinto atroce, che si conclude raccontando dell’impiccagione come condanna per chi è omosessuale: “Donna, vita e libertà. Le parole chiave della rivoluzione”.