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La legge di Lidia Poet è la nuova serie italiana Netflix, con Matilda De Angelis protagonista. La storia è ispirata a fatti realmente accaduti: scopriamo quali.

È disponibile da oggi, mercoledì 15 febbraio, su Netflix La legge di Lidia Poet, la nuova serie italiana della celebre piattaforma di streaming, che vede protagonista Matilda De Angelis (Veloce come il vento, L’incredibile storia dell’isola delle rose, Rapiniamo il Duce). Scritta da Guido Iuculano, Davide Orsini, Elisa Dondi, Daniela Gambaro e Paolo Piccirillo, la serie conta sei episodi, diretti dal celebre produttore e regista italiano Matteo Rovere (Veloce come il vento, Il primo re, Romulus). Nel cast troviamo anche Eduardo Scarpettanei, Dario Aita, Sara Lazzaro e Sinéad Thornhill.

La serie racconta la storia di Lidia Poet, giovane avvocatessa della Torino di fine Ottocento, in lotta per affermare i propri diritti in un mondo visceralmente maschilista in cui le viene impedito d’esercitare liberamente la professione. Dramma processuale e tematiche sociali si incrociano quindi in La legge di Lidia Poet, la cui sceneggiatura è ispirata a fatti realmente accaduti: scopriamo la storia vera dietro la serie Netflix.

Chi era Lidia Poet

Nata a Perrero, un paese vicino a Torino, nel 1855, Lidia Poet è stata la prima donna a entrare nell’Ordine degli Avvocati in Italia. Figlia di una famiglia agiata di religione valdese, crebbe tra Perrero e Pinerolo, per poi studiare in Svizzera e ottenere la patente di Maestra Superiore Normale e di Mastra di inglese, tedesco e francese. Ma non insegnò mai, e anzi proseguì gli studi iscrivendosi all’Università di Torino, prima a Medicina e poi a Legge, seguendo così la carriera del fratello maggiore Giovanni Enrico.

Si laureò nel 1881 con una tesi sulla condizione sociale femminile e il diritto di voto alle donne, e iniziò il praticantato nello studio del noto avvocato torinese Cesare Bertea, superando poi l’esame per entrare nell’Ordine nel 1883, all’età di 28 anni. Questa decisione causò molte polemiche, dato che fino a quel momento nessuna donna era mai stata ammessa alla professione di avvocato. Pochi mesi dopo, la Corte d’appello di Torino le revocò l’iscrizione all’Ordine degli Avvocati, decisione poi confermata dalla Cassazione nel 1884: la motivazione era che, essendo l’avvocatura un ufficio pubblico, doveva essere preclusa alle donne, come stabilito dalla legge.

Il caso di Lidia Poet fece molto scalpore nell’Italia di fine Ottocento, con molti giornali che raccontarono il suo caso (il Corriere della Sera la intervistò) e presero le sue difese. Tuttavia, vedendosi preclusa la libera professione, la donna decise di collaborare con lo studio legale del fratello, occupandosi in particolare dei diritti dei minori, degli emarginati e delle donne, prendendo anche attivamente parte al movimento suffragista italiano, per il diritto di voto alle donne. Uno degli aspetti centrali del suo lavoro è quello con i Congressi Penitenziari Internazionali, facendo numerose proposte per i diritti dei detenuti: per questo motivo, è stata nominata Officier d’Académie dalla Repubblica Francese.

Nel 1919, dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, la legge Sacchi abolì il divieto per le donne a entrare nella maggior parte dei pubblici uffici, tra cui anche l’avvocatura. Così, nel 1920, all’età di 65 anni, Lidia Poet poté finalmente essere riammessa all’Ordine degli Avvocati. Non si è mai sposata, ed è morta nel 1949 a Diano Marina, in Liguria, per poi essere sepolta a San Martino di Perrero, il paese di cui era originaria. Dal 2021, nei giardini del Palazzo di Giustizia di Torino è presente un cippo commemorativo a lei dedicato.