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L’avvocato del diavolo è un film del 1997 diretto da Taylor Hackford, con Keanu Reeves, Al Pacino e Charlize Theron. Chiariamo alcuni dubbi sulla pellicola.

Di solito, un “avvocato del diavolo” è una persona che in un dibattito assume una posizione non perché convinto, ma solo per alimentare la discussione e contrastare le idee altrui. Ben diversa è la questione nel film omonimo di Taylor Hackford (Ufficiale e gentiluomo, Ray), in cui un giovane avvocato con il volto di Keanu Reeves, dopo essere riuscito a far assolvere un cliente che lui sa essere colpevole di abusi sui minori, finisce a lavorare per un prestigioso studio legale di New York.

Quella che potrebbe essere una importante svolta di carriera si rivela per lui una graduale discesa nell’incubo, soprattutto a causa del peggioramento del rapporto con la moglie (una giovanissima e ancora sconosciuta Charlize Theron). A peggiorare le cose, la donna inizia ad avere strane visioni, che mettono a dura prova la sua stabilità mentale. Ma presto ci si rende conto che qualcosa di molto più controverso e irrazionale è all’opera. Tutti dettagli che, giocando tra thriller processuale e horror puro, hanno fatto di L’avvocato del diavolo un vero e proprio film cult.

L’avvocato del diavolo spiegazione

Alla fine della visione, però, qualche domanda potrebbe esservi rimasta. Partiamo dal titolo: il riferimento è al celebre modo di dire con cui abbiamo aperto questo articolo, che è anche il titolo del romanzo originale di Andrew Neiderman del 1990, da cui è tratta la sceneggiatura scritta da Tony Gilroy e Jonathan Lemkin. È abbastanza chiaro, alla fine del film, che il Diavolo non è altro che il personaggio interpretato da Al Pacino, il cui nome, John Milton, è quello di un celebre scrittore inglese del Seicento, noto per il poema Paradiso perduto, che ha come protagonista proprio Lucifero.

Se ne deduce quindi che l’avvocato del diavolo è il protagonista Kevin, interpretato da Keanu Reeves. Giovane avvocato in ascesa ma bloccato in una cittadina della Florida, ottiene un’importante lavoro a New York proprio dopo essere stato notato da Milton. L’evento che dà la svolta alla trama è la decisione di Kevin di difendere il suo cliente pur sapendo che è colpevole di abusi su minori, screditando chi lo accusava. In questo modo, Kevin “vende l’anima al Diavolo”, accettando consapevolmente di fare una brutta azione per ottenere un vantaggio personale. Come dice Milton, infatti: “La vanità è decisamente il mio peccato preferito”.

Ogni patto col Diavolo ha però il suo prezzo da pagare, come il protagonista scoprirà nel finale. Mentre Kevin viene sempre più meno alla sua coscienza, attirato dai guadagni e dai successi nella sua carriera, sua moglie Mary Ann rimane sempre più isolata e preda delle forze oscure che il marito porta con sé, fino a decidere di suicidarsi. Per spezzare questa prigione malefica che si è costruito attorno, Kevin si appella al libero arbitrio (ovvero, alla possibilità di scegliere liberamente tra bene e male) e si uccide a sua volta, unico modo per sfuggire al controllo del Diavolo e ai piani che quest’ultimo ha per lui.

Il finale de L’avvocato del diavolo riporta Kevin all’inizio, e gli permette di fare una scelta diversa, rinunciando a difendere un abusatore di minori, anteponendo i suoi principi etici alla carriera. Sembra un finale positivo, ma alla fine il giovane avvocato accetta di rilasciare un’intervista al giornalista Larry, che gli promette di renderlo una star: ancora una volta, la vanità e la sete di successo hanno la meglio. E infatti, nell’epilogo scopriamo che Larry è sempre il Diavolo.