Essere un inviato di guerra è uno dei lavori più rischiosi al mondo. Non si ha la preparazione bellica per ritrovarsi in un territorio nel quale è in atto un conflitto e il rischio è dietro ogni angolo. Il desiderio di raccontare la realtà dei fatti, spesso contraddicendo le notizie di regime, è più forte di tutto il resto. Ognuno conduce questo compito come crede, sporcandosi le mani o provano semplicemente a essere nell’area, anche se in una struttura protetta facendo il corrispondente e ottenendo notizie da fonti certe locali. Tutti, però, rischiano la vita in un modo o nell’altro.
Quanto guadagna un inviato di guerra che mette in prima linea la propria incolumità? Il conflitto tra Russia e Ucraina ha riacceso la curiosità del web per questa branca specifica del giornalismo, ed ecco la risposta.
Inviato di guerra, quanto guadagna
Il film A Private War, debutto registico di Matthew Heineman nel 2018, ha raccontato la vera storia di Marie Colvin, reporter di guerra del The Sunday Times pluripremiata. A interpretarla Rosamund Pike, che ha restituito tutto il dramma di una vita spesa per la verità, a scapito della propria incolumità. La pellicola è un ottimo modo per farsi un’idea di cosa voglia dire essere un inviato di guerra, così come l’articolo di Marie Brenner su Vanity Fair, del 2012, da cui il film è tratto: Marie Colvin’s Private War.
In merito si è espresso anche Fulvio Gorani, per anni corrispondente Rai, prima nell’ex Jugoslavia e poi in Iraq. Ha spiegato come si viva in condizioni estremamente difficili, senza poter avere accesso a servizi che tutti danno per scontato nel proprio quotidiano. A questi ostacoli si somma il pericolo costante di dover vivere a poca distanza da dove si sta svolgendo un conflitto.
La retribuzione in ambito giornalistico è una questione tristemente nota per la negativa piega che da anni ha preso. Il 20% dei giornalisti dipendenti percepisce un reddito medio che non supera quota 20mila euro annui. Il 56% riceve uno stipendio che varia dai 20 ai 75mila euro all’anno. Vi è però la maggior parte dei lavoratori che opera come freelance, il che comprende anche gli inviati di guerra. Nella stragrande maggioranza dei casi si ricevono pagamenti per singolo articolo, documento video o servizio. Un “pezzo” (articolo) può essere pagato tra i 70 e i 100 euro, il che è decisamente troppo poco per il rischio, il tempo e le capacità messe in atto dal singolo.
È questa la triste realtà, anche se i singoli e famosi casi di alcuni inviati distolgono l’attenzione da tale problema. La maggior parte del mondo del giornalismo fatica ad arrivare a fine mese, a fronte di inviati di guerra di punta come Giovanna Botteri, soltanto per fare un ben noto esempio, che la Rai paga circa 200mila euro all’anno.