Tre i Premi Oscar vinti da Green Book, film del 2018 con Viggo Mortensen e Mahershala Ali. Premiato come miglior film, così come per il miglior attore non protagonista e la miglior sceneggiatura originale. Tutto si basa su una storia vera, per quanto vi sia spazio per più di un tratto romanzato.
Scopriamo quanto c’è di reale in Green Book. Il titolo fa riferimento a un libro ed è forse la sua storia quella di maggior rilevanza. Pagine salvavita che meritano un posto speciale nella storia moderna degli Stati Uniti, per quanto drammatica.
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Green Book storia vera
Nel film vediamo l’artista Don Shirley impegnato in un tour negli Stati del Sud degli Stati Uniti d’America. Per restare al sicuro, il più possibile almeno, sfrutta le linee guida del Green Book. Si tratta di un libro realizzato da Victor Hugo Green, postino di Harlem. Era sua intenzione fornire dei luoghi sicuri ai neri d’America costretti a vivere in un Paese profondamente razzista.
Questa guida è stata pubblicata dal 1936 al 1967. Differenti edizioni per un lungo periodo in cui i diritti civili di gran parte degli americani venivano semplicemente ignorati e calpestati. Basti pensare a un episodio decisamente celebre, riguardante Jesse Owens, costretto a entrare dalla porta di servizio nell’hotel dove si dava la cena in suo onore, dopo la vittoria a Berlino, dinanzi a Hitler, di ben quattro medaglie d’oro. Ciò perché l’ingresso principale era destinato ai bianchi.
Il film è stato scritto anche da Nick Vallelonga, figlio di Tony Lip, divenuto autista, guardia del corpo e infine amico di Don Shirley. I due sono deceduti ben prima della realizzazione della pellicola e dunque manca un loro giudizio in merito alla sua veridicità. Lo script è però basato sulle testimonianze di Vallelonga e sulle registrazioni delle conversazioni tra i due custodite dal figlio Nick. Il punto di vista è principalmente quello dell’autista italo-americano, il che rappresenta l’inizio di una serie di polemiche seguite all’uscita di questo titolo, ed esplose dopo il trionfo agli Oscar.
Il vero Don Shirley
Don Shirley nacque il 29 gennaio 1927 a Pensacola, in Florida. I suoi genitori erano giamaicani. Il padre era un pastore della Chiesa Episcopale e la madre un’insegnante, deceduta quando lui era ancora un bambino. Fin da giovane aveva evidenziato il proprio talento, suonando da professionista a partire dai 18 anni, debuttando con Tchaikovsky.
Il mondo della musica classica gli è stato però di fatto precluso a causa del colore della sua pelle. Era un mercato per bianchi e gli venne fatto capire che non c’era spazio per lui in quel settore. Meglio optare per pop o jazz. Shirley ha dovuto seguire il “consiglio”, scegliendo però di contaminare i generi, inserendo nella sua opera la formazione classica ricevuta.
Nick Vallelonga ha raccontato come suo padre utilizzasse un linguaggio irrispettoso, figlio del razzismo dilagante nel Bronx. Le scene cui aveva assistito nel corso del viaggio, però, lo avevano in buona parte cambiato. Ha raccontato al figlio di come dovesse suonare in teatri per soli bianchi, dove era a rischio costante. Gli veniva vietato di mangiare nel ristorante in cui doveva suonare e molto altro ancora.
Il loro rapporto andò oltre quello capo e lavoratore. Lo si comprende pienamente dalle parole dello stesso Shirley. Una delle registrazioni di Nick è stata proposta da Deadline: “Tony non era soltanto il mio autista. Non c’è mai stato un rapporto datore di lavoro e dipendente tra noi. Non c’era tempo per quelle sciocchezze perché la mia vita era nelle su emani. In situazioni così serve un rapporto amichevole. Io, dal canto mio, gli ho insegnato l’inglese”.
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