Wonder è un film del 2017 diretto da Stephen Chbosky, incentrato sulla vita di Auggie, un bambino di 10 anni affetto dalla sindrome di Treacher Collins. Di cosa si tratta veramente?
Con quasi 306 milioni di dollari incassati in giro per il mondo, Wonder è stata una delle rivelazioni cinematografiche del 2017, grazie alla sua trama toccante e coinvolgente. A ispirare la storia è stato direttamente il libro omonimo pubblicato nel 2012 da R. J. Palacio, che racconta una storia di fantasia ma facendo affidamente su storie realmente accadute.
La malattia che affligge il piccolo Auggie, protagonista sia del film che del romanzo, esiste realmente e si tratta della sindrome di Treacher Collins. Scopriamo di più su questo disturbo.
Che cos’è la sindrome di Treacher Collins, la malattia di Auggie in Wonder
La sindrome di Treacher Collins, detta anche TCS o sindrome di Franceschetti o ancora disostosi mandibulo-facciale, è una rara malattia genetica (colpisce una persona ogni 10-50.000) che comporta malformazioni facciali piuttosto evidenti. Si manifesta già dalla quarta settimana di vita dell’embrione e, col tempo, può portare alla perdita dell’udito in circa la metà delle persone affette.
Attualmente non esiste una vera e propria cura per questo disturbo, ma si può agire sui sintomi per prevenire o posticipare l’insorgenza delle complicanze. Stiamo parlando di un trattamento di tipo chirurgico, che va eseguito in centri altamente qualificati. Infatti, anche Auggie, il protagonista di Wonder, nonostante abbia solo 10 anni, ha già subito diverse operazioni per limitare i danni causati dalla sindrome.
Questa malattia deve il suo nome al medico che la descrisse per la prima volta nei suoi tratti essenziali nel 1900, il chirurgo e oftalmologo britannico Edward Treacher Collins. Successivamente, nel 1949 gli svizzeri Adolphe Franceschetti e David Klein proseguirono il suo lavoro, dando alla malattia il nome di disostosi mandibulo-facciale. Questa sindrome congenita è stata portata poi all’attenzione generale da un articolo del New York Times del 1977.