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È necessario conoscere la storia vera di Silence per apprezzare al meglio il film di Martin Scorsese, la cui lavorazione è durata 26 anni.

Silence è probabilmente il film più personale di Martin Scorsese, data la profonda tematica spirituale. Dopo l’uscita de L’ultima tentazione di Cristo nel 1988 il celebre regista viene invitato a leggere il romanzo dello scrittore giapponese Shusaku Endo, Silence, dal vescovo della Chiesa Episcopale di New York, Paul Moore. Un libro dalla profonda influenza sul cineasta. Il film ha inizio nel 1633, anno in cui due giovani gesuiti, Sebastiao Rodriguez e Francisco Garupe, scoprono che il loro confessore, Cristovao Ferreira, è stato vittima di torture mentre impegnato in Giappone come missionario. Di lui non si hanno tracce ma pare abbia scelto la vita dell’apostasia, rinunciando a Dio. I due non possono crederci e s’imbarcano in lungo e complesso viaggio per ritrovarlo. Giunti in Giappone, scoprono comunità di contadini cristiani, costretti però a professare la loro fede in segreto. Sono infatti previste atroci torture per chi professa tale credo e viene scoperto dai signori locali o dai loro sottoposti.

Silence storia vera

Il romanzo sul quale si basa Silence di Martin Scorsese narra le persecuzioni subite dai cristiani in Giappone nel corso del periodo Tokugawa (XVII secolo). L’autore Endo parte eventi realmente avvenuti per scrivere una storia che, nonostante sia originale, resta fedele alla realtà dei fatti.

Nello specifico si è basato sulla vita di due gesuiti realmente esistiti, che andarono di fatto incontro a tali persecuzioni. Parliamo di Cristovao Ferreira e dell’italiano Giuseppe Chiara. Il primo, vissuto tra il 1580 e il 1650, divenne noto come uno dei maggiori “sacerdoti caduti”. Torturato per ore, abiurò la fede cristiana, assumendo un nome giapponese e vivendo in terra nipponica il resto dei propri giorni

Giuseppe Chiara visse invece dal 1602 al 1685. Inviato in Giappone nel tentativo di ritrovare Ferreira, convincendolo a tornare sui propri passi. Si scontrò però con le torture in atto nel Paese. Anche lui rinnegò la fede cristiana, restando a vivere in Giappone. Sposò una donna del luogo e assunse nome e status di samurai del suo defunto marito. Il romanzo è una testimonianza cruda delle atrocità avvenute.