Skip to main content

Qual è la storia vera di Colpevole d’innocenza: scopriamo la legge reale che permetterebbe alla protagonista di uccidere suo marito

Ispirato a una storia vera Colpevole d’innocenza è un thriller del 1999 con protagonisti Ashley Judd e Tommy Lee Jones. Una pellicola che basa la propria trama su un dramma, Double jeopardy, che è anche il titolo originale del film. La traduzione letterale è doppio rischio, il che spiega in parte quanto evidenziato dal sistema giudiziario degli Stati Uniti. Per meglio comprendere la storia vera di Colpevole d’innocenza è come ha fatto la protagonista nella relata ad uccidere suo marito, va capita in breve qual è la trama. Nick ed Elizabeth vivono felici con il figlio Matthew nella loro casa sul mare. Un giorno lui organizza un weekend romantico in barca, solo con sua moglie.

Di notte, però, lei si sveglia di colpo e scopre d’essere ricoperta di sangue. Suo marito è sparito e lei trova un coltello. Di colpo arriva la Guardia Costiera e in breve lei viene accusata d’omicidio, condannata infine a otto anni di carcere, pur senza cadavere. Elizabeth perde la sua vita e col tempo anche suo figlio, portato via dall’amica Angela, che si era presa cura di lui. Scopre, in seguito, che la donna si è trasferita a San Francisco e, parlando con suo figlio, lo sente interagire con suo padre. Una gigantesca truffa per incastrarla e rifarsi una vita. Una detenuta, ex legale, l’aiuta a essere liberata, il che la spinge in una caccia all’uomo, pronta a uccidere il marito presunto morto.

Colpevole d’innocenza cosa è successo nella realtà

Passiamo alla storia vera di Colpevole di Innocenza un caso di cronaca analizzando cosa è successo nella realtà. Con Double jeopardy si fa riferimento a un principio del sistema giuridico statunitense che prevede come un soggetto accusato non possa essere giudicato due volte per lo stesso reato. Per questo motivo la preparazione di un processo, come spesso mostrata nei film, dev’essere in teoria perfetta, considerando come si abbia una sola chance di condanna. Vige il divieto di doppia incriminazione. Il discorso cambia, però, in caso di crimine federale, che può prevedere un riprocesso. Ciò vuol dire che Elizabeth, protagonista di Colpevole d’innocenza, può liberamente uccidere suo marito senza correre il rischio di finire in carcere? Niente affatto. In realtà verrebbe nuovamente processata e condannata, dal momento che si tratterebbe di due casi differenti, avvenuti in diversi tempi e luoghi. Vi è un caso che rende ben chiara l’ipotesi paventata da questa legge e vede al centro Timothy Hennis. Questi venne condannato per aver ucciso tre persone nel 1985, madre e due figlie giovanissime, di sei e quattro anni, lasciando il neonato in vita ma di fatto destinato a morire di stenti. Hennis era un Sergente operativo in una base militare vicina al luogo del delitto, accusato d’aver anche violentato la donna uccisa (elemento chiave in seguito), rubando la sua carta di credito, per poi prelevate 300 dollari.

Svariati testimoni lo hanno identificato e, ad aumentare i sospetti, il giorno dopo l’uomo ha pagato il debito accumulato con il proprio padrone di casa, pari a 300 dollari. Ogni prova venne catalogata, dal DNA presente sotto le unghie della vittima allo sperma. Non vi era però la tecnologia necessaria per processare il tutto, il che ha permesso all’uomo di risultare innocente. Un caso rimasto insoluto per 21 anni, fino a quando un detective non è incappato in questa storia, scoprendo come ogni prova catalogata fosse ancora in custodia. Sfruttando la tecnologia a disposizione nel 2006, è riuscito a creare un caso contro Timothy Hennis, incastrato da un gran numero di prove. L’uomo non poteva però essere condannato, poiché già processato e ritenuto innocente. Per quanto possibile, però, in questa atroce storia vi è un lieto fine. Al tempo degli omicidi era un membro dell’esercito, che lo ha richiamato in servizio dopo il suo ritiro come Sergente Maggiore. Presentatosi a Fort Bragg, è stato portato dinanzi alla corte marziale, processato e condannato alla pena di morte, dove resterà fino alla fine dei suoi giorni, che avverrà in maniera naturale. È infatti dagli anni ’60 che un militare non viene giustiziato nel braccio della morte.